Il primo rapporto dell’osservatorio Recycle di Legambiente, presentato all’ultima edizione di ‘Ecomondo’, afferma che: “Grazie all’uso dei materiali riciclati, è possibile chiudere almeno 100 cave e ridurre l’impatto ambientale complessivo: minor consumo di acqua, combustibili fossili, emissioni di gas serra”.
Ormai il ciclo integrato dei rifiuti – da guardare assolutamente come una ricchezza e non più come un problema- è informato al principio delle “4R”: si parte dal ‘Ridurre’ le quantità di rifiuti prodotti differenziando in casa; si passa attraverso il ‘Riuso’ di un prodotto in più cicli di utilizzo, si gestisce la ‘Raccolta’ differenziata dei rifiuti e si arriva al ‘Riciclo’ finale destinando alla discarica o all’incenerimento solo una parte residuale infinitesimale della massa immessa inizialmente nel sistema del ciclo integrato.
Ogni anno in Italia vengono prodotti quasi 45 milioni di tonnellate di rifiuti inerti; sul nostro territorio insistono 2.500 cave da inerti attive e tra le 15 mila abbandonate, la maggior parte sono ex cave di sabbia e ghiaia; nel complesso oltre il 62,5% di quanto viene cavato è composto da inerti.
Secondo stime Ocse, l’estrazione mondiale di risorse è aumentata del 36% dal 1980 al 2002, e si prevede che crescerà di un ulteriore 48% entro il 2020, per un volume complessivo di circa 80 miliardi di tonnellate.
E’ chiaro che per rendere il sistema integrato ottimizzato, a monte, sono necessari efficienti sistemi di raccolta dei rifiuti urbani, che permettano l’accesso al bene da riusare o riciclare. A valle, invece, serve uno sviluppo adeguato del mercato del riuso e del recupero dei rifiuti, delle industrie che reimpiegano prodotti o materie scartate dal consumatore.
C’è da tenere in contro anche l’incisività economica oltre che ambientale del corretto funzionamento del sistema integrato dei rifiuti. Si pensi, ad esempio, che attraverso il riutilizzo dei rifiuti aggregati e degli inerti provenienti dalle demolizioni edili si avvierebbe una nuova filiera green in grado di produrre nuovi posti di lavoro, valorizzare ricerca e innovazione, contribuire a ridurre le emissioni di gas di serra.
A fare da battistrada le esperienze dei tanti Paesi dove, ormai da anni, si sta riducendo la quantità di materiali estratti con una forte spinta al riutilizzo promosso anche con regole di tutela del paesaggio e gestione delle attività.
Attualmente nel nostro paese la capacità di recupero sfiora a malapena il 10% (anche se con differenze significative tra Regione e Regione) mentre in Europa l’Olanda con il 90% dei materiali recuperati è la nazione più virtuosa, seguita da Belgio (87%) e Germania (86,3%).