Nei prossimi giorni ricorre il centenario del viaggio per la traslazione del feretro del Milite Ignoto da Aquileia verso l’Altare della Patria, dove venne tumulato in modo solenne il 4 novembre del 1921. Nella volontà dei governanti di allora l’occasione volle rappresentare uno dei massimi momenti di unità nazionale, e quest’anno, in occasione del Centenario, viene celebrato in tutta Italia con manifestazioni organizzate sia dai singoli Comuni che dal Ministero della Difesa.
L’idea di onorare una salma sconosciuta “uno dei tanti, uno per tutti” fu propugnata dal Generale Giulio Douhet e si diede incarico ad una speciale commissione che esplorò attentamente tutti i luoghi simbolo della Grande Guerra che ancora portavano le cicatrici lasciate sul terreno, resti di combattimento, fortificazioni abbandonate, montagne esplose e trincee dove molti soldati persero la vita e la loro identità diventando militi ignoti. Dal Carso agli Altipiani, dalle foci del Piave al Montello. Fu scelta una salma per ognuna delle seguenti zone: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele. Le undici salme, una sola delle quali sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano, furono poi trasportate nella Basilica di Aquileia il 28 ottobre 1921. Qui si procedette, con cerimonia solenne, alla scelta di quella destinata a rappresentare il sacrificio di oltre seicentocinquantamila soldati italiani; scelta che fu affidata ad una popolana, Maria Bergamas di Gradisca d’Isonzo, il cui figlio Antonio si era arruolato nelle file italiane sotto falso nome essendo suddito austro-ungarico, caduto in combattimento nel 1916 il cui corpo non fu poi ritrovato; le restanti dieci salme a cui non fu possibile dare un’identità sono da allora preziosamente custodite nel Cimitero degli Eroi di Aquileia.
Partito alle 8 del mattino del 29 ottobre 1921 il convoglio era condotto da personale decorato al valor militare; era guidato da una doppia trazione di locomotive di cui la prima (la Regina), ornata di corone ed insignita della Croce di Guerra, recava in fronte una stella d’oro su un campo di spighe dorate. Ventidue vetture, fra queste il carro riccamente addobbato che accoglieva, sopra un affusto di cannone da campagna, la bara di quercia. Fu un viaggio lentissimo e sofferto attraverso il Paese che toccò centoventi stazioni; centinaia di migliaia di persone lungo il percorso si inginocchiarono per rendere omaggio a questo giovane senza nome simbolo del sacrificio dell’Italia intera. Ovunque fu accolto con solennità e straziante commozione perché in tanti fra i familiari o fra gli amici avevano un reduce, un grande invalido e tanti, troppi deceduti o dispersi. Il viaggio si fermò a Roma dove il corpo del Milite Ignoto fu tumulato nel monumento più imponente, quello dedicato al Re Vittorio Emanuele II. All’Altare della Patria, dunque, in una cripta lastricata con il marmo del Carso, benedetto con l’acqua del Timavo davanti ad una fiamma perenne. A nessuno fu consentito di pronunciare orazioni. Era il 4 novembre 1921, tre anni esatti dopo la fine della Grande Guerra.
Ma trascorso un secolo è forse il momento di una rilettura critica del periodo storico, fortemente travagliato da enormi divisioni interne, in procinto di esplodere se non lo erano già in ulteriori sanguinosi scontri. Fra le parti avverse prevaleva la volontà di celebrare ognuno i suoi caduti.
Forse fu anche per questo che l’Italia fu l’ultima fra le potenze vincitrici a celebrare un momento di tributo alle tante vite spese in guerra; Regno Unito e Francia lo fecero prima, ma erano popolazioni queste interventiste convinte ed unite nel senso dell’intervento. In Italia invece la dissociazione era stata forte, la maggioranza del Paese non voleva la guerra. Non la voleva la classe operaia, non la volevano i contadini, non la voleva il Parlamento (eletto con aventi diritto al voto solo il 2% della popolazione). Il fronte interventista era capeggiato dai nazionalisti e dalle industrie interessate alle commesse belliche. Composito anche il fronte neutralista: socialisti, cattolici, liberali giolittiani che subì una dura sconfitta. La volontà guerrafondaia di pochi potenti prevalse sul Paese e sul Parlamento, attraverso un blitz nel 1915 il Re, Salandra e Sonnino portarono l’Italia in guerra.
Immaginate le classi più umili che dovettero partire per “la guerra di lorsignori”. Opposizione con scioperi e manifestazioni nel 1915 e critico riassorbimento dei reduci dopo il 1918 con congedi anche prolungati per l’impossibilità di trovare il lavoro a chi, tutto sommato, aveva rischiato la vita per la patria. In questo scenario neanche la vittoria della Grande Guerra consenti una riunificazione e una pacificazione sul tema, tanto è che chi tornò da reduce e la popolazione civile non ebbero sempre piacere nel ricordarla. Gli anni immediatamente successivi aprirono un aspro periodo di scontri fratricidi, da una parte la crescente attrazione operaia all’idea del bolscevismo russo e la contrapposta reazione nazionalista conservatrice che portò, solo un anno dopo dal momento appena ricordato, alla marcia su Roma e all’inizio del regime fascista.
Di quella guerra abbiamo un'idea non originale, ma mediata, diversa a seconda del mezzo attraverso il quale ce la siamo formata, diversa a seconda del nostro interesse per la storia, delle nostre convinzioni, del nostro luogo di residenza, a seconda anche della nostra età, per i giovani sono quasi esclusivamente i media - specie la televisione - a fornire un supporto alle schematiche nozioni che i programmi scolastici consentono. Eppure, ci dovrebbe essere - e c'è - un ricordo comune, condiviso, di quella guerra e di quella data e di ciò che hanno significato per noi.
Oggi, adombrandosi all’orizzonte altre pericolose spinte divisive, l’occasione del centenario deve essere sfruttata per dar voce alla vitalità dei valori della memoria collettiva e riunire tutti i caduti sotto quel simbolo, i militari e fra questi anche i suicidi e le vittime dei processi sommari sul campo, la popolazione civile che pagò un tributo altissimo e le vittime degli scontri del periodo successivo, troppo spesso ignorati e dimenticati.