Abbiamo finora provato ad inseguire i nostri nonni in alcuni dei posti in cui - giovani di venti anni che non si sarebbero mai voltati per strada a chiamarli così- li portò la Grande Guerra, ad uccidere per non essere uccisi senza mai la certezza di poter vedere l’indomani.
Si è cercato, grazie alla conoscenza del nostro ex collega Ferruccio su posti ed eventi storici, di leggere pagine non sempre conosciute e così faremo oggi, in questa ulteriore tappa del nostro percorso.
Già, è una meta particolare quella che ci aspetta sul confine fra le province di Trento e Vicenza, visto che stavolta non parleremo di un luogo, quanto piuttosto della strada necessaria per arrivarci: non diceva forse Thomas Stearns Eliot, poeta americano del secolo scorso che “quello che conta è il percorso del viaggio e non l’arrivo”?
Percorriamo dunque la “Strada delle 52 gallerie”, un percorso di oltre 6 chilometri che non dimenticheremo facilmente: intanto è in salita – con un dislivello di 750 metri- e raggiunge i duemila metri in direzione del monte Pasubio e poi ha la caratteristica impressionante di essere stata scavata nella viva roccia, per lo più a mano, dalla 33’ compagnia minatori del 5’ reggimento Genio del Regio Esercito.
Ci sono aspetti ingegneristici che ancora oggi sorprendono: l’opera è portata a termine nel 1917 in soli 9 mesi: siamo in piena zona di guerra e se si vuole permettere a truppe ed armamenti di giungere alla prima linea senza finire sotto il fuoco austriaco c’è solo un modo: forare la montagna attraverso un articolato sistema di gallerie artificiali che, per oltre 2 chilometri, consenta di porre al riparo chi percorre la strada.
I particolari sono incredibili e rischiano di distrarci: un percorso che mette assieme ben 52 gallerie che vanno dagli 8 ai 300 metri, alcune con sviluppo a spirale per permettere più facilmente l’ascesa e che trova ricordati nelle intitolazioni di ciascun tunnel sia eroi della nostra storia nazionale (Filzi, Battisti, Oberdan) che oramai nostre vecchie conoscenze dei precedenti articoli (l’ottava galleria ricorda infatti il generale Cantore, quello caduto per mano del “misterioso” cecchino di nazionalità incerta ..).
Un’opera di ingegneria che, per di più, è ancora in servizio permanente effettivo e costituisce meta frequentatissima di escursioni, ma che…..appunto non deve farci dimenticare perché è stata costruita e la tragedia che le è accaduta attorno: ce lo impongono le migliaia di caduti, i 37.000 militari italiani che sul Pasubio sono morti o sono stati feriti e i 50.000 che comunque vi hanno combattuto, a duemila metri di altitudine in condizioni di fortuna, artefici e vittime anche di una singolarissima “guerra delle mine” fra il cosiddetto Dente Austriaco e il Dente Italiano, che ha portato – attraverso scavi e collocazione di potenti cariche esplosive da entrambe le parti- a modificare per sempre il profilo della montagna, già intriso del sangue delle numerose vittime, centinaia delle quali ancora sepolte senza identificazione certa e fra le quali si annovera anche il Capitano del Genio Leopoldo Motti, l’ufficiale che ideò la “nostra” strada.
Già, e se noi nipoti non comprenderemo mai completamente cosa hanno significato quelle vicende (anche per la frequente ritrosia dei sopravvissuti a parlarne), un segnale lo possiamo comunque cogliere da quella terribile frase che sintetizza il superamento dell’umana sopportazione sul Pasubio, per cui si disse che “il vivere fu ben più duro che morire”.