Ebe, simbolo dell’eterna giovinezza, coppiera degli Dei, è risorta dalle ceneri. O più correttamente dai frammenti che, all’indomani del bombardamento alleato su Bassano del 24 aprile 1945, venero raccolti come reliquie. Reliquie di un gesso tra i più belli e affascinanti tra quelli realizzati dal celebre scultore di Possagno.
Questi frammenti sono rimasti nei depositi dei Musei Civici per più di 70 anni, abbandonati all’oblio perché la loro ricomposizione è stata a lungo ritenuta impossibile. Poi, la messa a punto di nuove tecnologie applicate al restauro ha permesso alla mitica Ebe di Bassano del Grappa di ritrovare la sua forma e la sua grazia. A ridarle vita ha provveduto un innovativo intervento conservativo, interamente finanziato dal Rotary Bassano e dal Rotary Asolo Pedemontana del Grappa. All’impresa ha collaborato anche il Comune di Forlì, proprietario della versione marmorea di Ebe cui il gesso bassanese è collegato.
Per celebrare l’evento, la Città di Bassano del Grappa, tramite i Musei Civici diretti da Barbara Guidi, ha deciso di proporre il capolavoro ritrovato quale protagonista di una mostra, molto puntuale, sulla rivisitazione canoviana della figura mitologica di Ebe cui lo scultore di Possagno ha saputo dare sembianze tanto perfette da rimanere indelebilmente impressa nell’immaginario collettivo.
Sfuggente ma al contempo intrigante, il mito di Ebe ha conosciuto, attraverso i secoli, un’alterna fortuna nella cultura occidentale. Citata da Omero e da Esiodo, a Ebe, figlia di Zeus e di Era, spettava il ruolo di enofora, l’ancella delle divinità. Il misterioso nettare che mesceva donava l’immortalità e l’eterna giovinezza. Dopo il matrimonio con Eracle, il suo ruolo di coppiera degli dèi fu assegnato a Ganimede. Profondo conoscitore del classico, nutrito della cultura antiquaria che nel Settecento rinveniva e classificava con dedizione i preziosi reperti antichi, Canova seppe condensare il mito di questa divinità adolescente in un’immagine emblematica, quella della gioventù colta all’apice della sua fiorente bellezza, in quel fugace momento di perfezione che anticipa l’età adulta. Ne realizzò due differenti versioni. La prima, in cui la giovane dea, che si appresta a mescere l’ambrosia, atterra su una spumosa nuvola; l’altra, colta mentre appoggia leggiadramente i piedi alla base di un tronco d’albero. Entrambe le versioni, trasposte in marmo, sono il vanto di quattro importanti collezioni pubbliche e private d’Europa: dagli Staatlichen Museen di Berlino all’Ermitage di San Pietroburgo, dalla Collezione Devonshire a Chatsworth ai Musei di San Domenico di Forlì.
Nel Salone Canoviano del Museo bassanese, la Ebe “restituita alla sua primitiva bellezza” sarà posta vis a vis con la prima versione in gesso del medesimo soggetto, patrimonio della padovana Collezione Papafava. I due capolavori saranno al centro di un percorso suggestivo che evocherà l’alterna fortuna del mito di Ebe nelle arti figurative.
Un mito che dalle rappresentazioni che animano i crateri della Magna Grecia e le pitture antiche, troverà nuova linfa nell’opera di alcuni importanti pittori del Rinascimento quali Parmigianino e Rosso Fiorentino le cui invenzioni furono sapientemente tradotte in raffinate incisioni; fino a giungere, alla fine del XVIII secolo, alla sorprendente invenzione canoviana, ispirata anche dai preziosi volumi illustrati della sua personale biblioteca che saranno esposti in mostra. Un’immagine, quella di Ebe, che accompagnerà tutta la carriera dello scultore e che trova eco tanto nel tema delle figure danzanti protagoniste dei disegni e dei monocromi su tela grezza, quanto nei ritratti delle più celebri donne del suo tempo acconciate alla moda (Leopoldina Esterhazy-Liechtenstein, Elisa Baciocchi Bonaparte e Carolina Murat), fino alle teste ideali, genere di successo in cui lo scultore veneto sperimenta sottili e infinite variazioni del “bello ideale”. Un capitolo è infine riservato all’illustrazione del complesso intervento di restauro che ha ridato dignità alla Ebe bassanese.
La mostra e la pubblicazione che l’accompagna – che, oltre alla collaborazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, vede il contributo di autorevoli studiosi e dei curatori dei musei che conservano le molteplici versioni della popolare opera canoviana – intendono così celebrare la restituzione di questa importante testimonianza artistica alla pubblica fruizione.