La storia dell’unità del nostro Paese è lunga e travagliata. Per molti secoli la nostra penisola era formata da tanti piccoli stati con governi e lingue differenti. La nascita di un unico Regno d’Italia è da ricondursi all’epoca del Risorgimento, ma il regno, appena creato, era solo una prima tappa della lunga, laboriosa e complicata fase che completò l’unità politica e territoriale solo dopo la fine della prima guerra mondiale. Se la vogliamo dire tutta, forse, si concluse solo dopo la resistenza e la proclamazione della Repubblica.
Domenica 17 marzo prossimo sarà il 163° anniversario dell’Unità d’Italia. È questa una ricorrenza che annualmente celebra la nascita dello Stato Italiano, formatosi con le annessioni plebiscitarie di gran parte degli Stati preunitari, quindi la proclamazione, avvenuta il 17 marzo 1861, con l’atto normativo del Regno di Sardegna sabaudo, in cui il Re Vittorio Emanuele II assume il titolo di “Re d’Italia” per sé e suoi successori. Curiosità, non "primo" re d'Italia, come avrebbe dovuto essere secondo l'ordine della genealogia dinastica, ma "secondo" come segno distintivo della continuità della dinastia di Casa Savoia
Il nome ufficiale dato alla ricorrenza, come riporta il sito del governo, è "Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera". Proprio in quel periodo (nel 1847) Goffredo Mameli scrisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana, Fratelli d'Italia, un canto risorgimentale musicato da Michele Novaro. Ricordiamo tutti i grandi festeggiamenti del 2011 per il 150° anniversario che, straordinariamente e solo per quell’anno, segnarono il 17 marzo come festività civile.
Ricordare questa data e il periodo durante il quale l'Italia conseguì la propria unità nazionale ci consente di rileggere il processo storico del Risorgimento, un momento fondamentale per capire quello che oggi siamo e per capire il valore della nostra comunità. È a partire da quell’esperienza che abbiamo poi costruito la nostra Casa Comune, il nostro Paese e, più tardi, la nostra Democrazia.
I segni lasciati dal Risorgimento prima e dalla Resistenza poi, si trovano nella nostra Carta Costituzionale; è oltremodo attuale in questo periodo di recrudescenza di conflitti e di attacchi alle libertà individuali, poter apprezzare quanta strada abbiamo fatto insieme, quanto valore ha per noi la nostra Democrazia ed il sacrificio e gli ideali di tanti uomini e tante donne.
Oggi ci è più facile ricordare i sacrifici delle due guerre Mondiali, più vicine nel tempo e con ricordi probabilmente legati a parenti stretti o avi che hanno partecipato ma non scordiamoci dei tanti giovani sacrificatisi per l’ideale di Unità d’Italia con i moti rivoluzionari e le guerre di indipendenza; se vi capiterà di visitare un mausoleo, un monumento a quei giovani (uno per tutti a Solferino) collegherete che non è solo il novecento il secolo fondativo del nostro vivere comune.
Gli ideali del Risorgimento hanno camminato sulle gambe di grandi uomini come Giuseppe Mazzini, le cui idee di Stato sono ancora attuali. L’idea di una Nazione senza nazionalismi, il dovere civico come impegno dei singoli, la libertà alla base del bene comune. Mazzini ha vissuto il senso dell’unità e della cultura europea ed è per questo che lo sentiamo vicino ed attuale.
Il riassunto del processo di unificazione
Dopo la caduta dell’Impero Romano, l’Italia non è più stata un unico regno per moltissimo tempo. Era divisa tra tanti stati indipendenti tra loro come il Regno Lombardo-Veneto, il Regno di Sardegna, lo Stato della Chiesa, il Regno delle Due Sicilie, i ducati di Modena, di Massa e Carrara, il Granducato di Toscana, ecc.
Nel corso dell’Ottocento alcuni intellettuali sentirono però la necessità di rendere l’Italia un paese unito e indipendente. Dall’azione di questi patrioti illuminati nacquero società segrete, come la Carboneria, e soprattutto il movimento che portò alla liberazione del Paese e alla sua unificazione: il Risorgimento. Questo periodo ha tradizionalmente come inizio il 1815, con il Congresso di Vienna, e come fine il 1871 con l’annessione di Roma e la sua proclamazione a capitale del neonato Regno.
L’Unità d’Italia è il processo che ha portato alla formazione di uno stato nazionale italiano nel 1861 ed è il risultato di diverse fasi: ha inizio con i moti rivoluzionari (1820-21, 1830-31, 1848) , prosegue con le tre guerre d’indipendenza contro l’Austria, la spedizione dei Mille di Garibaldi, l’annessione delle regioni meridionali e centrali al Regno di Sardegna, la proclamazione del Regno d’Italia con Vittorio Emanuele II, la Breccia di Porta Pia e l’ingresso in Roma. Si completa solo nel 1918 quando Trento e Trieste, il Trentino-Alto Adige e la Venezia Giulia entrarono a far parte del regno.
Episodi cardine del Risorgimento e della conseguente Unità d’Italia furono le tre Guerre di indipendenza. La prima si combatté tra il 1848 e il 1849 e vide scontrarsi una coalizione di Stati italiani contro l’Impero Asburgico che aveva sotto il suo controllo il territorio del Lombardo-Veneto. Nel 1848 le principali città di questo Stato, Venezia, Padova e Milano, diedero vita a moti di ribellione contro gli austriaci. Dopo la ritirata di questi da Venezia e la proclamazione della Repubblica di San Marco, il re del Regno di Sardegna Carlo Alberto di Savoia, a capo di una coalizione di stati italiani, dichiarò ufficialmente guerra all’Austria. Nelle prime fasi la situazione volse a favore delle truppe guidate da Carlo Alberto finché il Papa non si ritirò dal conflitto. A questo punto la maggior parte degli stati italiani ritirò anch’essa il proprio appoggio all’impresa e la guerra si concluse con la sconfitta di Novara il 23 marzo 1849. Le città ancora ribelli caddero di nuovo sotto la dominazione asburgica, tra cui Venezia.
La seconda, condotta anche tramite l’abile politica di Cavour, portò all’annessione di alcuni territori lombardi ed emiliani al Regno e, in cambio di questi, la Savoia e Nizza passarono sotto il governo francese. Camillo Benso conte di Cavour dal 1852 era primo ministro del Regno di Sardegna. Con la sua visione politica innovativa, aveva ben presente che senza un appoggio europeo gli stati italiani non avrebbero mai potuto sconfiggere gli austriaci. Grazie alla sua idea di partecipare a fianco di Francia, Gran Bretagna e Impero Ottomano alla Guerra di Crimea, rafforzò i legami diplomatici con l’estero, soprattutto con la Francia. Cavour e Napoleone III infatti strinsero nel 1858 un accordo segreto, i cosiddetti Accordi di Plombières, secondo cui se l’Austria avesse attaccato il Regno di Sardegna, la Francia sarebbe intervenuta in suo soccorso e il Lombardo-Veneto sarebbe passato sotto il controllo sabaudo. Quando poco dopo l’impero asburgico attaccò il Regno di Sardegna, Napoleone III intervenne sconfiggendo il nemico in alcune battaglie sanguinose come quelle di Magenta e di Solferino, salvo poi ritirarsi per le numerose perdite.
La spedizione dei Mille Nel frattempo il Regno delle due Sicilie si trovava sotto la monarchia assoluta dei Borbone. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi, patriota e condottiero di origine nizzarda, salpò con i Mille da Quarto, nei pressi di Genova, con lo scopo di liberare il Sud dalla dittatura borbonica. Dopo lo sbarco a Marsala, in Sicilia, Garibaldi dichiarò di assumere il comando in nome di Vittorio Emanuele II, a poco a poco, risalì con le sue truppe la Penisola fino a Teano, in cui si incontrò con il re sabaudo. Il Regno di Sardegna nel frattempo aveva battuto l’esercito pontificio nella Battaglia di Castelfidardo e sancì l’annessione delle Marche e dell’Umbria al Regno sabaudo. L’Italia era ormai riunificata ma rispetto a come è ora però, al Regno d’Italia mancavano ancora dei territori.
La terza si combatté dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Nel 1866 la neonata Italia combatté al fianco della Prussia nel comune intento di sconfiggere l’Austria; grazie alla vittoria della Prussia sul fronte settentrionale e all’intervento diplomatico della Francia, l’Austria cedette il Veneto, la provincia di Mantova e parte del Friuli quello occidentale, che, con un plebiscito, furono annessi al Regno d’Italia.
Nel frattempo la capitale del Regno si sposta per poco più di un lustro a Firenze e, dopo che nel 1870 Vittorio Emanuele II vi entrò attraverso la Breccia di Porta Pia, nel 1871 Roma divenne capitale d’Italia.
Roma e lo Stato Pontificio, così come buona parte del centro Italia, infatti appartenevano ancora formalmente ancora al Papa Pio IX che, godendo dell’appoggio del governo Francese, si rifiutava di trattare. Quando Napoleone III allentò la protezione, Vittorio Emanuele II avanzò con le sue truppe e il 20 settembre 1870, un reparto di bersaglieri aprì la breccia di Porta Pia ed entrò in Roma. Al Papa restarono i palazzi del Vaticano ma, per ribadire la sua opposizione al Regno d’Italia, invitò tutti i cattolici a non partecipare alla vita politica del nuovo Regno (non expedit).
All’appello mancavano ancora Trento e Trieste ma grazie alla partecipazione dell’Italia a fianco della Triplice Intesa e in nome dei patti segreti di Londra stipulati dall’Italia con gli alleati, alla fine della Grande Guerra nel 1918, con la conquista di queste ultime due città, si concluse l’unificazione dell’Italia. Per questo motivo la Prima Guerra Mondiale potrebbe essere definita anche Quarta Guerra di Indipendenza.
Come era quell’Italia appena nata.
Il primo periodo di unità non fu certo facile. Il neonato regno composto di realtà locali molto diverse, si trova a dover affrontare gravi e urgenti problemi sociali, politici, economici, primi fra tutti la questione meridionale e il brigantaggio. C'è poi il problema delle terre irredente, cioè non liberate (Trento e Trieste) che restano sotto la dominazione austriaca.
La Politica Il 27 gennaio 1861 si svolsero le prime elezioni politiche del regno d'Italia, però poté votare solo una parte limitata del popolo. La legge era rimasta quella di Carlo Alberto di Piemonte “lo Statuto Albertino” che si estese in tutte le regioni italiane. Chi votava, cioè la classe dominante, erano i più ricchi e istruiti come pure si vede nelle liste dei ministri Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, Marco Minghetti, Quintino Sella.
Il nuovo Parlamento era diviso tra destra (moderati, liberali conservatori, seguaci di Cavour) e sinistra (progressisti, mazziniani e garibaldini). La destra aveva la maggioranza parlamentare e ad essa toccò fare l'Italia e fare gli italiani. Il primo problema fu unificare dialetti, leggi, servizi sanitari ecc. Due soluzioni per farlo, quella accentratrice del potere nelle mani del governo, o l’idea di Cavour più liberista di Cavour era di decentramento cioè di dare una minima autonomia ai comuni, città e regioni. Ma Cavour muore e la nuova classe politica che gli succede, nutrendo grandi timori che la recente unità fosse messa in pericolo da sommovimenti interni, preferì imboccare la strada dell'accentramento autoritario estendendo a tutto il paese il sistema comunale e provinciale del Regno di Sardegna. L'Italia venne divisa in province sotto il controllo dei prefetti che erano i rappresentanti del Governo e i consigli comunali elettivi furono affidati a sindaci nominati dal sovrano quasi esclusivamente piemontesi. Le leggi piemontesi vengono estese a tutto il regno d'Italia, il servizio militare fu reso obbligatorio per tutti per la durata di 5 anni.
La società Con la proclamazione dell'Unità d'Italia iniziò anche un processo di unificazione culturale del paese la cui necessità era avvertita soprattutto dalla classe intellettuale. La nuova Italia aveva messo assieme popolazioni eterogenee per storia, per lingue parlate, per tradizioni e usanze religiose.
I ventuno milioni di contadini, esclusi dalle elezioni, erano legati alla terra: contadini, braccianti, coloni, mezzadri. I contadini del Nord e del Sud avevano in comune l'analfabetismo che raggiungeva una percentuale nazionale del 75%, con punte del 90% in alcune zone del paese; tale problema venne affrontato estendendo la legge Casati, in vigore nel Regno di Sardegna dal 1860, a tutto il nuovo regno unitario con 4 anni di scuola elementare gratuita e obbligatoria. Furono pubblicati alcuni libri destinati a essere diffusi in tutta la nazione: nel 1870 esce la prima Storia della letteratura italiana di De Santis; Il Bel Paese dell'abate e patriota Antonio Stoppani; Carlo Collodi pubblica Pinocchio; Cuore di Edmondo De Amicis, e nel 1891 Pellegrino Artusi pubblica La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene.
Vengono fondate anche le prime associazioni popolari a diffusione nazionale, che aiutano a far conoscere il territorio nazionale agli italiani: nel 1863 Quintino Sella, fonda il Club Alpino Italiano e nel 1894 nasce il Touring Club Italiano a opera di Luigi Vittorio Bertarelli. Nel 1867 viene fondata la Società geografica italiana con Cristoforo Negri. Anche la diffusione della fotografia contribuì alla conoscenza dei protagonisti del Risorgimento come pure alla creazione di una cultura unitari.
L'economia Le condizioni di tutta l'Italia si presentavano arretrate rispetto agli stati industrializzati dell'Europa occidentale. Le infrastrutture erano molto scarse, ad esempio la rete ferroviaria nel 1861 consisteva in appena 2.100 chilometri di strade ferrate costruita, per ragioni militari, con scartamenti diversi fra uno Stato e l'altro.
La borghesia tenta di unificare il mercato nazionale, per fare questo bisognava abolire le barriere doganali e i dazi. Per far viaggiare le merci rapidamente si sviluppa una rete ferroviaria e stradale che va dal Piemonte al sud. L'abolizione delle dogane tra i vari Stati preunitari italiani comportò sovente il fallimento delle piccole attività artigianali impossibilitate a reggere la concorrenza con la produzione industriale del Nord.
I braccianti del nord, lavoravano nelle aziende agrarie capitalistiche, non avevano lavori fissi e si spostavano per cercarselo. Molti contadini andarono a lavorare nelle fabbriche, non solo per l'industria tessile ma anche per quella alimentare, della produzione di latticini, di farine, olio, strumenti di lavoro, mezzi di trasporto. Mentre il nord si industrializzava rapidamente il sud rimaneva un paese agricolo; i contadini del sud vivevano in piccoli borghi. All'alba col mulo o a piedi andavano nel loro podere fino a tarda sera o per più giorni. Le donne vivevano isolate tra le faccende domestiche e il lavoro nei telai e nel lavatoio. I contadini del sud sostennero Garibaldi perché speravano di migliorare le loro condizioni di vita, ma furono delusi.
L’affrontare in modo radicale questi problemi comportò però un grande impegno finanziario per il nuovo Stato. Le spese per costruire ferrovie, scuole, servizi, ma anche per il rafforzamento di Esercito e Marina, a fronte della instabilità diplomatica e delle minacce austriache, crearono un deficit nello stato che si faceva prestare sempre soldi dall'estero. Così per colmare il vuoto, il governo impose un sistema fiscale ritenuto al Sud più pesante anche di quello Borbonico con nuove tasse, specialmente le imposte indirette sui beni di consumo come la tassa sul Macinato del 1868. Una vera e propria tassa sul pane, fino ad allora sconosciuta nelle regioni del Centro e del Nord dove causò la ribellione dei contadini emiliani.
Quale reazione quasi esclusivamente i territori meridionali continentali ex-borbonici si forma il brigantaggio definito post-unitario, una forma spesso associata a fenomeni di banditismo armato ed organizzato che, pur essendo presente negli stati italiani preunitari, assunse connotati tipici in special modo in seguito alla realizzazione dell'Unità d'Italia.
Tale diversità di avvenimenti e condotte è sintomatica delle profonde differenze, già esistenti nel 1861, tra il nord ed il centro della penisola da un lato, ed il sud Mezzogiorno dall'altro. Tale divario sarebbe stato in seguito compendiato nella locuzione "questione meridionale".
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