San Marco di qua, San Todaro di là. Stanno da secoli sulle due colonne di marmo e granito, "bigio una e rossiccia l'altra", nella piazzetta a fianco di Palazzo Ducale, avvolte da misteri mai risolti. Una statua in bronzo in forma di leone dal volto umano di probabile origine assira, trofeo arrivato da Costantinopoli con le crociate capitanate da Enrico Dandolo nei primi anni del 1200 e a Venezia rimaneggiato e dotato di ali e Vangelo, e un San Teodoro di pietra coi piedi poggiati su un drago in forma di coccodrillo con zampe palmate e muso di cane.
Sono i due patroni di Venezia, solo uno è oggi istituzionale, ma dell'altro ricorre ancora il nome, Teodoro che diventa Todaro in veneziano. Il leone è lo stesso lì issato secoli fa, del Todaro invece se si vuole ammirare l'originale si può andare nel cortile di Palazzo Ducale. Dove fu messo nel primo dopoguerra, quando dopo una lunga vicenda costellata di articoli di giornale e carte bollate fu tirato giù per lasciare al suo posto una copia. Era davvero malconcio, non si sa da quando fosse lì in cima, Sansovino scrisse dal 1329, ma dicono gli studiosi che le colonne arrivarono intorno al 1150, con doge Vitale Michieli II, e pare strano che siano restate sguarnite per tanto tempo. Del resto, non è chiaro neppure quando trovò posto il leone alato.La statua di quello che ancora molti turisti credono un San Giorgio (che era invece il protettore dell'antica rivale Genova, sono entrambi santi guerrieri uccisori di draghi) è in realtà un insieme di statue. La testa e il busto di origini romane, testa dell'imperatore Costantino e busto di Adriano in marmo pregiato, il resto posticcio in marmo più scadente e pietra d'Istria. Nel 2017 anche questa statua è stata restaurata ed è quella che si ammira sotto il portico del cortiletto dei Senatori a Palazzo Ducale, dove protegge i veneziani ad altezza d'uomo dal 1948.
Delle colonne narra l'architetto Giovanni Antonio Vendrasco alla fine dell'Ottocento, nel suo "Marco e Todaro", riportando che "Sebastiano Zani, ricco e settuagenario doge, fece bandire una strida colla quale si prometteva generoso premio a chi avesse compiuta quell'opera, per meccanici mezzi". Era circa il 1170 e le colonne giacevano stese in piazzetta in attesa di qualcuno che riuscisse a sollevarle. L'esito lo racconta il Sansovino: "Un lombardo chiamato Niccolò Barottiero le drizzò et ne hebbe honesto premio oltre al quale volle privilegio che i giuocatori havessero libertà di giuocare a piè di dette colonne senza pena alcuna", e conferma si trova nella Cronaca Magno: "Venne un ingegniere che era un gran baro de zuogo et disse del levarle". Le colonne furono sollevate dal Barottiero con uno stratagemma, legandole con corde bagnate che una volta asciutte si restringevano sollevando i due macigni, in cambio fu concessa fra le due libertà di gioco d'azzardo. Per secoli sono state porta d'entrata e punto di ritrovo della più varia umanità veneziana. Qui sotto ritratta da Giacomo Guardi a penna, opera conservata nel Museo Correr.